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lo user-centred design non persegue soluzioni totalizzanti e definitive, bensì un continuo miglioramento che si basa sui dati forniti dall’osservazione
Di stefano (del 05/11/2014 @ 14:34:23, in Eventi, linkato 4048 volte)
Presentiamo il nostro intervento al Worl Usability Day 2014 che si svolgerà a Roma il prossimo 13 novembre. L’argomento che tratteremo sono i test di usabilità sui prototipi cartacei e la loro importanza nell’ambito della progettazione human-centred. Tratteremo l’argomento con un taglio molto pratico, con video di esempio e indicazioni per il set-up del laboratorio.
Di stefano (del 08/05/2014 @ 14:37:35, in Risorse, linkato 4068 volte)
Questo video è stato ideato per gli studenti del nostro corso di User experience e Web design alla RUFA. Quest'anno è stato utilizzato alla fine del corso, per sintetizzare il lavoro svolto durante l'anno.
Di stefano (del 04/06/2013 @ 10:00:57, in Idee, linkato 3815 volte)
usertest/lab, il network italiano per la user research, ha svolto una ricerca in collaborazione con UX Fellows per indagare in che modo le persone di diverse culture usano spontaneamente i gesti per controllare un televisore e altre tipologie di prodotti elettronici di largo consumo. La ricerca è stata svolta in 18 paesi è ha coinvolto in totale 360 persone.
Contesto della ricerca I comandi gestuali permettono alle persone di interagire con i device/dispositivi in modo molto più spontaneo. Console di video giochi come Xbox Kinect, così come le smart TV e alcuni smartphone, già usano questa modalità di interazione. Il primo passo, quasi naturale, è l'utilizzo dei pointing gesture in cui un dito o una mano prende il posto del mouse. La semantic gesture porta l'interazione su un'altro piano, ancora più avanti; qui il movimento di una mano può essere utilizzato per veicolare un messaggio riconoscibile.
Un gesto della mano, che in una cultura può stare per un gesto benevolo di uso quotidiano, può invece significare un minaccioso insulto in un’altra. Se le TV riescono a registrare la gestualità semantica, saranno in grado di capire le persone indipendentemente dal loro paese di origine?
Risultati dell’indagine Molti gesti di uso quotidiano cambiano enormemente tra le diverse culture. In ogni caso, alcuni inneschi comunicativi sono gli stessi in tutto il mondo. Così i gesti per “ti chiamerò” oppure “ti spedirò una mail” sono quasi identici in tutte le culture nelle quali gli individui usano agevolmente la tecnologia.
Questo vale, in maniera molto simile, anche riguardo le TV. “È stato sorprendente scoprire come gestualità usate spontaneamente per le funzioni base mentre si guarda la TV – come regolare il volume, cambiare canale, mettere in pausa o mandare avanti un film – sono estremamente simili in tutto il mondo. Le persone sembrano possedere nella mente qualcosa sulla falsariga di un linguaggio dei segni universale e basilare per l’elettronica di intrattenimento”, afferma Michael Wörmann, Managing Director di Facit Digital, il partner dal quale è partita la proposta di indagine. I movimenti della mano utilizzati derivano chiaramente dai gesti quotidiani, ma anche da metafore di interazione con i computer o con device touchscreen.
D’altro canto, nel caso di funzioni più complesse, come aprire una guida Tv elettronica o condividere il programma che si sta guardando per mezzo di un social media, emergono consistenti differenze tra le culture. In ogni caso, le persone hanno molte idee creative per accedere a queste funzioni con semplici movimenti della mano. “È interessante che non sia stato riscontrato nessun comportamento gestuale consistente tra i diversi paesi. Nel caso di prodotti di aziende multinazionali, questo significa che ricerche a livello nazionale sono indispensabili per assicurare l’accettazione (dei prodotti)”, spiega Christian Bopp, Managing Partner of Facit Digital. L’interazione spontanea con un dispositivo elettronico è infatti percepita diversamente a seconda dei paesi: mentre Francesi e Cinesi non sembrano avere problemi di sorta nell’inventare gestualità, Britannici e Coreani trovano la comunicazione non verbale più difficile.
L’idea di far gestire alle persone i prodotti elettronici attraverso i gesti è stata accolta con entusiasmo nei paesi di tutto il mondo. Perché questo possa svolgersi correttamente in termini tecnici è comunque necessario basare ognuno di questi sistemi sul modo più spontaneo che gli individui usano per comunicare. I fattori culturali devono essere presi in considerazione paese per paese.
I risultati della ricerca saranno presentati EuroITV a Como alla fine di giugno e a EuroIA a Edimburgo alla fine di settembre.
Cos'è UX Fellows UX Fellows è un network mondiale per la user research e la user experience. Attualmente è composto da 23 partner che conducono ricerche di usabilità e UX in oltre 30 mercati, sia sviluppati che emergenti. Processi e standard di qualità condivisi sono garanzia di una user research realizzata professionalmente ed efficientemente in tutto il mondo. Tutti i partner sono tra i massimi fornitori di user research nei mercati del loro paese, fornendo competenza nella cultura digitale locale che sta diventando sempre più importante nel mercato globale.
Di stefano (del 05/03/2012 @ 09:25:02, in Eventi, linkato 5140 volte)
L’AIAP, Associazione Italiana Design della Comunicazione Visiva, con il nuovo statuto e il nuovo regolamento apre le porte ai professionisti del design digitale. Il nuovo articolo riguardante l’Elenco Professionale Aiap, che regola l'ammissione dei soci, ora include, tra le nuove professionalità, anche interface designer, web designer, information designer, user experience designer e way fynding designer.
Una svolta epocale per un’associazione, ancora oggi percepita lontana dal mondo delle professioni associate al design digitale. Per dare concretezza a questo nuovo corso, l’AIAP organizza un ciclo di workshop dedicati alla user experience, alle interfacce per i dispositivi mobili e all’e-publishing.
La realizzazione pratica dei workshop è stata affidata a Letizia Bollini e Stefano Dominici, entrambi soci Aiap da molti anni. Qui di seguito i dettagli dei workshop previsti, per ora, solo a Milano.
Sabato 31 marzo 2012 INTRODUZIONE ALLA USER EXPERIENCE con Stefano Dominici, usertest/lab
Sabato 21 aprile 2012 INTERFACCE GRAFICHE PER MOBILE E TABLET: PROGETTAZIONE E VALUTAZIONE con Letizia Bollini, extrasmall e Stefano Dominici, usertest/lab
Sabato 12 maggio 2012 DIGITAL PUBLISHING PER GLI E-BOOK READER E PER I TABLET Workshop con Letizia Bollini, extrasmall
Costo dei workshop (cad.) 100 euro + IVA (21%) per soci AIAP e studenti (cad.) 250 euro + IVA (21%) NON soci
Di stefano (del 20/02/2012 @ 08:17:21, in Analisi, linkato 5051 volte)
Questo fine settimana sono stato a un meeting di una grande agenzia di comunicazione visiva a parlare di user experience. Per due giorni ho seguito i loro interventi su brand, reputazione online, pubblicità e di molto altro. Ma in ogni presentazione e in ogni caso di studio non c’era traccia dei destinatari di tutte le attività comunicative: le persone. Ne come punto di partenza ne come punto di arrivo. Solo in una slide si è intravisto un accenno di focus group passivo, dove i partecipanti si limitavano a dire mi piace/non mi piace.
Sono stato l’ultimo a intervenire e ho spiegato c’osé la user experience e perché è importante. Per rinforzare questo aspetto ho raccontando alcune storie reali. Il mio obiettivo era quello di evidenziare che se non curi tutti i canali di comunicazione, soprattutto quelli che le persone utilizzano per interagire con l’azienda, non servirà a nulla progettare sapientemente una brand identity, sviluppare una campagna pubblicitaria che fa incetta di premi, curare la reputazione online con certosina dedizione. Perché è cambiato il mondo, e se prima la comunicazione chiedeva sporadicamente il supporto dell’interazione ora è l’interazione il veicolo principale della comunicazione.
Dopo di me ha parlato il presidente dell’agenzia e qui c’è stato il colpo di scena. Il concetto che avevo espresso poca prima e veicolato in modo molto garbato è stato esplicitato in modo chiaro, quasi brutale direi: o ci adeguiamo o moriamo, perche il mondo intorno a noi è cambiato e noi siamo rimasti fermi. Questo, aggiungo io, è valido anche per molte aziende che non si occupano di comunicazione.
Avevo già incontrato, nel 2008, alcune persone di quest’agenzia, per presentare i servizi di usertest/lab e spiegare loro che progettare correttamente la user experience è importante per la brand identity e la reputazione online. Mi fu detto che loro lavoravano su un altro livello e che l’approccio user-centered non gli interessava.
Ora dovranno inseguire e non sarà facile. Perché quando si passano tanti anni di fronte allo specchio dei desideri a tirare fuori centinaia di pietre filosofali, non una come Harry Potter, poi è difficile coprirlo e chiudere la stanza a doppia mandata. Quelle pietre che trasformavano tutto in oro ora sono zavorra. Ci vuole un cambio di mentalità notevole per uscire fuori, tra le persone alle quali non frega nulla del tuo lavoro, prese come sono dalle necessità contingenti e a perseguire i loro sogni e progettare per loro. Senza contare la difficoltà di convincere aziende alle quali hai proposto fino a ora un modello di comunicazione e spiegargli che quel modello è superato e che progettare per i loro clienti è molto più importante che vincere premi.
Di stefano (del 18/11/2011 @ 16:30:13, in Idee, linkato 5300 volte)
Capita assai spesso che dopo aver aver proposto a un cliente una o più attività di ricerca nelle quali sono coinvolte persone reali, lui chieda: "Ma non è un po' riduttivo chiedere agli utenti quello che vogliono o cosa pensano del nostro prodotto?" A parte la repulsione che provo a sentire la parola "utenti", ogni volta mi tocca spiegare, precisare, ecc. Così ho messo a punto un cappello introduttivo, che recito come un mantra prima di iniziare a illustrare le attività di progetto e che riporto qui di seguito.
Il nostro lavoro coinvolgerà i vostri clienti/dipendenti/cittadini.
Noi, però, non chiederemo loro di dirci quello che vogliono. Se necessario, ci immergeremo nel loro mondo per comprendere in che modo lavorano, come fanno le cose, le loro capacità e quello che li circonda.
Inoltre, quando sarà il momento, gli chiederemo di lavorare con noi per sviluppare un prodotto che risponda alle loro aspettative.
Infine, non gli chiederemo di dare un'opinione su quello che è stato prodotto. Nel luogo più opportuno, gli chiederemo di utilizzarlo e li osserveremo per comprendere se è adatto alle loro capacità e necessità.
Di stefano (del 16/05/2011 @ 08:12:16, in Recensioni, linkato 7098 volte)
Il libro che vi presento è un manuale sintetico, scritto in un linguaggio chiaro e comprensibile, che si legge tutto d'un fiato, come un romanzo. L’autore, Francesco Ronzon - docente di Antropologia culturale presso il Politecnico di Milano - riesce, in poco più di 130 a pagine, a fornire una panoramica esauriente sulla ricerca etnografica.
Dalla storia alle tecniche, dal lavoro di ricerca a quello di analisi, fino alla divulgazione dei risultati, tutto viene descritto in dettaglio e con esempi pratici. Una lettura, inoltre, che offre molti spunti per riflessioni e suggerimenti e porta all’inserimento di una pletora di post-it, come si può vedere nella foto, a segnalare le parti più interessanti.
Dalle Conclusioni riporto un passaggio che, a mio parere, sintetizza l’essenza della ricerca etnografica: “Anche se “sporco”, il lavoro etnografico presenta, infatti, vari punti di forza: aiuta a rilevare aspetti “invisibili” ai metodi di ricerca quantitativi; permette di porre domande di ricerca nuove, compensando ciò che si perde in linearità e pulizia operazionale con una maggiore densità e profondità analitico-interpretative; costringe, infine, il ricercatore a riflettere costantemente sul processo di ricerca, valutando di volta in volta l’appropriatezza dei metodi, delle categorie e delle teorie rispetto ai dati”.
Scheda riepilogativa Titolo: Sul campo - Breve guida alla ricerca etnografica Autore: Francesco Ronzon Editore: Meltemi Data di pubblicazione: 2008 Pagine: 143 Prezzo: 13,00 euro
Indice Introduzione Capitolo primo - L’etnografia Capitolo secondo - Il lavoro di ricerca Capitolo terzo - Le tecniche di indagine Capitolo quarto - L’analisi dei dati Capitolo quinto - La scrittura e la valutazione Conclusioni Letture consigliate Bibliografia
Di stefano (del 09/05/2011 @ 16:07:42, in Analisi, linkato 7462 volte)
Di ritorno da Milano, dove ho partecipato a una splendida edizione dell’Italian IA Summit, voglio condividere l’inquietudine nata da un talk sull’ubiquitous computing, ovvero sull’interconnessione tra il mondo reale e quello digitale attraverso oggetti - smartphone, RFId, ecc. - che comunicano tra di loro.
Un brivido anticipatore l’ho provato quando Nicola Palmarini (IBM) ha parlato di “oggetti che comunicano tra di loro al di fuori della nostra volontà”. Poi, con esempi reali - una panoramica molto veloce - ha descritto oggetti che comunicano il livello di stress di una persona, applicazioni che permettono di monitorare le persone dall’esterno delle loro case e altre cose simili. Tutto molto bello, un mondo ideale illuminato dal sol dell’avvenire digitale.
Ma quel brivido è divenuto vera e propria inquietudine quando, alla fine dell’intervento, ho chiesto se tutta questa tecnologia pervasiva poteva portare a sviluppare strumenti di controllo sociale e personale. La sua risposta è stata che dipendeva soprattutto da noi, perché in prima persona forniamo coscientemente e volutamente informazioni sul quando, dove, come e cosa facciamo.
Questo mi inquieta perché non è vero. Dare la responsabilità al singolo individuo per quello che potranno fare potere politico ed economico con l’utilizzo di queste tecnologie è voler chiudere gli occhi sul mondo in cui viviamo. Sarà che ho letto troppo fantascienza nella quale l’uomo non è padrone del suo destino - Dick e Ballard in particolare - ma io posso fare ben poco per difendermi. Posso, come in effetti faccio, evitare di lasciare tracce della mia vita quotidiana sui social network generalisti e fare a meno delle carte fedeltà, ma non posso evitare che altri, a mia insaputa, possano farlo (per esempio pubblicando una mia foto su Facebook o su Flickr). Ma qui non voglio analizzare questioni di privacy, di etica e quant'altro. Quello che voglio sono strumenti di difesa, protocolli e oggetti che mi permettano di combattere l’uso distorto che verrà fatto di queste tecnologie.
Questa è la mia modesta lista dei desideri: - uno strumento che mi permetta di individuare gli RFId, sapere che - informazioni raccolgono, per conto di chi e di poterli neutralizzare; - uno strumento che impedisca la scansione remota degli oggetti digitali - di mia proprietà; - uno strumento che mi permetta di non restare prigioniero di una rete digitale; - uno strumento che mi permetta di mappare sul territorio gli oggetti destinati - al monitoraggio dei device mobili.
Non mi sembra di chiedere troppo e, se qualcosa già esiste, avvisatemi.
Vi segnalo un eccellente post di Leisa Reichelt sui personaggi, "Personas are for hippies… and transformation and focus". Leisa, in poche righe, evidenzia l'importanza dell'utilizzo dei personaggi all'interno di grandi organizzazioni che, molto spesso, fanno fatica a mettere a fuoco le esigenze e le necessità dei loro clienti. Inoltre, e questa è senza dubbio una delle ragioni che più condivido, i personaggi permettono anche di "reduce usage of the term ‘user’ (so abstract, inhuman and elastic) and replace it with our personas names".
Certo, continua Leisa, i personaggi devono essere ben sviluppati e ben utilizzati, altrimenti è meglio non sprecare energie con loro. Ma come si può capire se i personaggi rispondono a queste caratteristiche? Con un test, ovviamente.
Eccolo qui: - do you have personas for your project/product? - are they made of data from real (potential) customers? - do they have real names not segment names? - do you have fewer than five personas? - can you remember all the names of your personas and describe them? - do you use them to guide, evaluate and/or explain design decisions? - can your boss name your personas? - can the developers on your team name your personas?
La maggioranza delle risposte deve essere si. Provate e fatemi sapere.
P.S. Ho partecipato ieri a Torino alla conferenza user experience 2.0 e, tra le tante presentazioni, tre hanno suscitato il mio interesse e confermano quanto scritto dalla Reichelt. Sono due casi di studio e un intervento sullo sviluppo dei personaggi, presentati da grandi organizzazioni che ne hanno recepito l'importanza e le potenzialità.
I casi di studio sono stati presentati da Whirlpool e Tetrapack. Nei loro progetti i personaggi sono stati sviluppati al termine di una vasta fase di ricerche sul campo e utilizzati nella fasi di progettazione.
Lo sviluppo dei personaggi è stato trattato nella presentazione di Elena Guercio (strategy/innovation - progetti di ricerca di telecom italia). La peculiarità risiede nel fatto cha hanno creato dei layer di base dai quali partire per sviluppare poi personaggi specifici. Un approccio decisamente interessante per accorciare i tempi di sviluppo e risparmiare risorse.
Vi segnaliamo un'interessante articolo,Avoiding Half-baked Personas, nel quale Todd Wilkens (Adaptive Path) spiega cosa sono e le differenze tra Ad-Hoc Personas e Proto-personas.
Le Ad-hoc Personas sono i personaggi sviluppati velocemente, per mancanza di tempo e risorse, attingendo ai soli dati disponibili all'interno di un'organizzazione, senza effettuare attività di ricerca. Jared Spool le definisce user descriptions, perché per lui non possono essere definiti personaggi.
Le Proto-personas sono, invece, il primo passo concreto nello sviluppo dei personaggi e sono basate sulle prime intuizioni che si hanno durante la fase di ricerca.
In entrambi i casi si tratta di personaggi allo stato iniziale, che si devono usare con cautela e solo per alcune situazioni specifiche, come la preparazione al recruiting - nel caso delle Ad-hoc Personas - e per iniziare a far emergere pattern condivisi - nel caso delle Proto-personas.
Da leggere anche i commenti, trai quali è molto condivisibile quello di Indi Young.
Di stefano (del 07/12/2010 @ 11:39:09, in Risorse, linkato 4953 volte)
Vi segnaliamo alcuni strumenti che possono tornare utili durante la prototipazione di interfacce. Non sono solo software ma anche "analogici". Questi ultimi saranno molto apprezzati da chi, come me, utilizza la matita come primo strumento di prototipazione.
UXPin Questo è il mio preferito. Si tratta di un blocco che riproduce su carta la schermata di un browser e fornisce elementi adesivi per form, bottoni e altro ancora. Il set è acquistabile online sul sito http://www.uxpin.com/
UI Stencils Stencil in metallo per prototipare interfacce di siti web e di applicazioni iPhone, iPad e Android. Inoltre, ci sono anche i blocchi che riproducono le schermate dei browser e dei device mobili. Il prodotti sono acquistabili online sul sito http://www.uistencils.com/
MockupScreens Un software che permette di creare le schermate in modo molto veloce e intuitivo e di organizzarle in presentazioni che simulano flussi e interazione. Il prodotto è acquistabile online sul sito http://mockupscreens.com/
Interface Una app per iPhone e iPad che permette di creare prototipi di apps direttamente sul device di riferimento. Permette, poi, di visualizzare in anteprima il risultato e di esportarlo in Xcode. Il prodotto si acquista su App Store. Per maggiori informazioni http://lesscode.co.nz/interface
Cosa sono i diagrammi di affinità I diagrammi di affinità - affinity diagram in inglese - sono una tecnica di analisi che aiuta nella categorizzazione dei dati e nell’individuare relazioni fra essi. Nel nostro caso, i dati da analizzare sono quelli acquisiti durante le ricerche qualitative o reperiti nell’analisi delle ricerche demoscopiche finalizzati allo sviluppo dei personaggi (vedi IV lezione del Corso UCD).
Introduzione Prima di svolgere l’analisi dei dati con i diagrammi di affinità, occorre che siano state definite le modalità di segmentazione e che siano state individuate le categorie sotto le quali raccogliere i microdati. Tipicamente la segmentazione può essere effettuata per obiettivi o per modalità d’uso o per comportamenti (vedi V lezione del Corso UCD). Per esempio, se la segmentazione avviene per modalità d’uso, le categorie che ne derivano possono essere “registrati” e “non registrati”.
Attività preliminari Coinvolgere il team Anche se a volte è possibile fare questa attività da soli, la cosa più opportuna è coinvolgere sempre le persone direttamente collegate al progetto. In questo modo, tutti potranno sentirsi “padri” o “madri” dei personaggi e quindi più propensi al loro utilizzo nelle fasi successive. A queste persone il facilitatore dovrà spiegare chiaramente le finalità dei diagrammi di affinità e, se necessario, dovrà effettuare una dimostrazione pratica prima di svolgere la sessione di analisi.
Preparare i materiali Devono essere disponibili: - un cartello con le regole di base (vedi box); - post-it di colore diverso, abbastanza grandi da poter contenere - annotazioni esaustive (da 76x76 mm o più grandi); - pennarelli neri a punta fine/media (il tratto della penna è meno leggibile); - evidenziatori, per marcare i microdati estratti; - uno o più fogli di carta bianca 70x100 cm da appendere alle pareti - o alla lavagna (sarà più facile portarli con sé in caso sia necessario - cambiare stanza) e altri fogli della stessa misura per bloccare i post-it - in caso di trasporto o coprirli alla fine della giornata; - scotch riposizionabile per fissare i post-it “ribelli”; - fogli bianchi o blocchi per appunti.
Inoltre, il facilitatore deve avere una macchina fotografica per documentare ogni fase dell’attività e il risultato finale.
Le regole di base: - Nessuno è leader e tutti sono uguali - Tutte le idee sono importanti e non sono criticabili - Le categorie proposte sono modificabili - Le categorie con molti dati possono essere divise - I microdati possono essere duplicati e, se necessario, inseriti in gruppi - multipli - I microdati e i gruppi di microdati non sono fissi e, se necessario, - possono essere spostati
Scegliere il luogo Una sala riunioni o una normale stanza di lavoro con un tavolo grande. L’importante è che sia in grado di ospitare e far muovere agevolmente i partecipanti.
I diagrammi di affinità passo passo Passo 1 - Prima di iniziare Ricapitolare brevemente le attività di ricerca e analisi già svolte e ribadire le finalità della sessione di lavoro. Appendere alla parete o alla lavagna il cartello con le regole di base e descriverle brevemente. Attaccare sui fogli 70x100 - precedentemente appesi - i post-it con i nomi delle categorie di segmentazione. Distribuire le copie dei report con i risultati delle ricerche opportunamente codificate (per esempio: R01, R02, ecc). Fornire un congruo numero di post-it di diversi colori e indicare le convenzioni per il loro uso (per esempio: i gialli per dati, i rosa per le citazioni, ecc.). Fissare un tempo massimo per tutte le fasi della sessione.
Passo 2 - Estrazione dei microdati e categorizzazione Ogni partecipante dovrà evidenziare sul report il microdato che ritiene significativo, scriverlo sul post-it di colore adeguato insieme al codice della ricerca di provenienza e al numero di pagina (Figura 1). Il partecipante dovrà quindi collocare il post-it vicino a una delle categorie. Questo tipo di lavoro deve essere svolto senza commenti.
Figura 1 - Esempio di microdati estratti da una ricerca ISTAT
Passo 3 - Verifica delle categorizzazioni Al termine dell’estrazione e della categorizzazione si procederà con una verifica delle scelte fatte, dando completa libertà di modifica. In particolare si possono creare categorie non definite in precedenza oppure spostare i microdati da una categoria all’altra o, ancora, duplicare un microdato per associarlo a un’altra categoria. In questa fase si dovranno anche etichettare le informazioni della stessa natura per ogni categoria (per esempio: tipo e luogo di connessione, esperienza su internet, ecc.). Tutto questo deve essere fatto commentando e discutendo le scelte ad alta voce, con lo scopo di coinvolgere tutti i partecipanti nel processo di verifica.
Passo 4 - Nominare i gruppi Una volta che i microdati sotto ogni categoria sono stabili, condivisi ed etichettati, si procede dando un nome e un ruolo alla categoria. Per esempio, la categoria “Registrati” potrà diventare “Giuseppe, il cliente assiduo” (Figura 2). Questo passaggio è importante poiché permette di cominciare a tratteggiare i personaggi in base ai dati reali e, quindi, a renderli più credibili. Inoltre, la scelta del nome rende tutti partecipi della “nascita” dei personaggi e crea l’empatia necessaria per il loro utilizzo in campo progettuale.
Figura 2 - Esempio di categoria con gruppi e microdati
Passo 5 - Narrare le storie A questo punto ogni partecipante (o gruppo di partecipanti) sceglie un nominativo e prova a costruire una storia che descriva una o più esperienze d’uso. La fonte delle storie sono le informazioni contenute nelle ricerche analizzate. Il risultato da ottenere sono storie di nuove esperienze d’uso, che vadano incontro alle esigenze e agli obiettivi dei personaggi e, di conseguenza, a quelli delle persone che i personaggi rappresentano. Le storie devono essere registrate e trascritte per la fase succesiva, quella dello sviluppo vero e proprio dei personaggi e degli scenari.
Bibliografia Understanding your User Catherine Courage e Kathy Baxter - 2005, Morgan Kaufmann The Persona Lifecycle Tamara Adlin e John Pruitt - 2005, Morgan Kaufmann Storytelling for user experience Whitney Quesenbery e Kevin Brooks - 2010, Rosenfeld
Di stefano (del 25/10/2010 @ 14:40:28, in Risorse, linkato 3429 volte)
L’argomento del workshop è stato l’innovazione che, a nostro parere, diventa significativa quando rende più facile la vita delle persone. Nello specifico abbiamo parlato di ricerche etnografiche, interviste e diari e degli strumenti di analisi e progettazione che supportano lo sviluppo di prodotti e servizi digitali che vanno incontro alle reali necessità delle persone.
Questo approccio, che tiene conto prima delle persone e poi di altri fattori, è essenziale per lo sviluppo dei servizi digitali in Italia. I numeri non lasciano dubbi. Abbiamo uno dei più bassi tassi di utilizzo della rete, al 22° posto secondo un’indagine Nokia. E non è un problema di infrastrutture. A nostro parere, sono inadeguati gli approcci ai progetti a impedire innovazione e sviluppo. Approcci tutti centrati o sulla creatività fine a se stessa o sulla tecnologia, che non rimuovono la barriera più grande: il senso di inadeguatezza che le persone sentono quando utilizzano dei dispositivi e dei servizi digitali non progettati per loro. Spesso, dopo un primo approccio, la frustrazione prende il sopravvento e smettono di utilizzarli.
Per questo è necessario un approccio che faccia emergere le reali necessità delle persone, soprattutto di quelle al momento escluse. Le prospettive, per chiunque abbracci questo modello di progettazione, possono essere enormi, perché darebbero un vantaggio competitivo senza eguali.
Le slide e lo script (PDF 25Kb) del workshop a SMAU2010 / smau10Mi